La chiodatura nelle navi e sommergibili – Durante l’Ottocento si verificano grandi cambiamenti nella storia della costruzione navale. Fino al secolo precedente, il Settecento, la tecnica costruttiva non era stata molto diversa da quella nata nel Medioevo in Europa occidentale. Si usava il legno, in genere quercia per lo scafo, pino o abete per gli alberi e per i pennoni; il tutto era tenuto insieme da chiodi e perni in ferro. Un accurato lavoro di “calafataggio”, fatto con pece e stoppa, assicurava la giusta impermeabilizzazione. Quando però la nave doveva navigare nei mari tropicali, lo scafo veniva rifasciato con fogli di rame, in modo da resistere meglio all’assalto delle teredini: molluschi divoratori di legno che, scavando intricate gallerie, provocavano gravissimi danni, talvolta irreparabili.
Con la rivoluzione industriale e l’adozione del ferro nella costruzione navale, la situazione incomincia a cambiare profondamente. Prima, quasi tutto il lavoro veniva svolto in cantiere, senza tanti disegni tecnici; ci si basava sull’esperienza e sul colpo d’occhio del maestro d’ascia. Con l’impiego del ferro, invece, occorrono disegni accurati di ogni singolo pezzo, che viene fornito dalle officine e montato nel cantiere o sullo scalo. Occorre perciò un’accurata organizzazione del lavoro e un preciso coordinamento delle varie fasi di progettazione e costruzione. E occorrono anche investimenti economici ben maggiori. All’inizio il ferro è poco usato, perché si teme che in mare duri meno del legno, ma con lo sviluppo delle tecniche siderurgiche, si passa alla costruzione interamente in ferro e, infine, a quella in acciaio. E con l’acciaio aumentano notevolmente le dimensioni dei bastimenti, migliora anche la tenuta al mare e cresce la capacità di carico.
Nella costruzione in metallo, le varie parti vengono unite con dei grossi chiodi conficcati a caldo; per questo lavoro occorrono maestranze di grande perizia tecnica e manuale. In tempi moderni i collegamenti tra lamiere e lamiere sono effettuati mediante saldatura che rispetto alla chiodatura evita sovrapposizioni e l’uso di pezze e contro-pezze, inoltre fa risparmiare fino al 20% di peso. La chiodatura tuttavia presenta anche qualche vantaggio. Fino a circa 20 anni fa i vari registri continuavano a consigliarla in alcuni tipi di collegamento, come quello tra il ponte di resistenza ed i fianchi (cinta – trincarino) e quello tra l’orlo inferiore dei ginocchi ed il fondo. In sostanza si voleva ottenere una maggiore elasticità (la chiodatura consente, infatti un certo movimento alla struttura). La nave è assimilabile ad una trave, quindi si avrà un andamento bitriangolare delle sollecitazioni. Usando la chiodatura, la tensione nei punti di massima sollecitazione diminuisce: si ha così la trasmigrazione delle tensioni dalle parti estreme, dove l’elasticità risulta aumentata, cioè il modulo di elasticità è più basso, verso l’asse neutro, ottenendo con ciò un maggior equilibrio. A tal proposito si ipotizzava anche l’impiego in talune zone di acciai a modulo di resistenza molto basso.
La chiodatura nelle navi e sommergibili – Il difetto maggiore della chiodatura, al di là del peso, rimane comunque quello della difficoltà di ottenere una struttura stagna: le infiltrazioni risultano infatti, talvolta ineliminabili (nonostante il calafataggio, ottenuto ribadendo e deformando le estremità sovrapposte delle lamiere). E’ inopportuno saldare su una chiodatura (che potrebbe essere danneggiata dal tormento termico): data l’attuale scarsità di chiodatori, nei lavori su vecchie navi, la chiodatura viene talvolta sostituita da una imbullonatura. Il chiodo è costituito da un’asta d’acciaio con una testa ad un’estremità, la lunghezza della parte sporgente è pari a 1,5 volte il diametro. La testa, ottenuta per schiacciamento della suddetta parte sporgente (cioè ribadita) dev’essere rivolta verso il mare. Esistono anche altri tipi di chiodi (di forma diversa), ma risultano scarsamente utilizzati. La foratura (preliminare) viene realizzata utilizzando apposite macchine dotate di punzoni; l’operazione richiede anche una segnatura preliminare delle lamiere. Il foro, anche a causa del trascinamento di trucioli da parte del punzone, risulta sempre di forma troncoconica, perciò le lamiere dovranno essere sistemate in modo da essere tenute anche in caso di “salto” della testa del chiodo. Il chiodo viene immesso nel foro a circa 1200° C (color bianco), mentre la ribaditura viene fatta a 600-650 °C (color rosso – ciliegia scuro): il rispetto di questi valori deve essere rigoroso, in modo che il chiodo possa contrarsi nel modo desiderato (realizzando così la miglior tenuta possibile). E’ necessaria anche una imbastitura preliminare, cioè un controllo (fatto mediante bulloni) che tutti i fori siano passanti. Un problema importante è quello del funzionamento del chiodo. Un chiodo non lavora come si potrebbe pensare a taglio (fatto che porterebbe ad una rapida rottura e che pertanto si deve evitare), bensì a trazione. Essendo il chiodo in trazione, comprime le lamiere che si uniscono. L’elasticità della chiodatura deriva dalla compenetrazione delle asperità delle lamiere: si ha così uno scorrimento graduale che va ad incrementare l’elasticità propria delle lamiere stesse; a parità di deformazione si avrà così una tensione minore (ed il materiale risulta meno tormentato che non nella saldatura). Il chiodo, immesso nel foro a 1200 °C e ribadito a 600 °C, successivamente si contrae: stringendosi comprime le due lamiere. Avremo così una zona di compressione attorno al chiodo. In seguito alla compressione fra le superfici delle due lamiere si origina un attrito che si oppone allo scorrimento delle stesse. L’effettivo andamento della pressione è di difficile valutazione, si fa quindi riferimento alla pressione media.
La chiodatura nelle navi e sommergibili – Quando la chiodatura è ben fatta il taglio fittizio vale circa 1000-1200 kg/cm2. L’operazione di calafataggio deve essere fatta in una zona in cui la compressione fra le due lamiere è ancora abbastanza consistente: essa consiste in una ribattitura del bordo delle lamiere con uno scalpello, in modo da conferire la tenuta desiderata. Se il collegamento necessita di più di una fila di chiodi, anche se i chiodi sono sfalsati; i fori indeboliscono la struttura: ci chiediamo allora dove avverrà la rottura se sottoponiamo a trazione le due lamiere. La rottura avverrà sulla fila esterna di chiodi in quanto all’interno la lamiera è “protetta” dalla fila esterna stessa che scarica parte dello sforzo totale di trazione sull’altra lamiera. Si può allora dire che questa soluzione, presentando un punto in cui la rottura è assai probabile, non è ben equilibrata. Per armonizzare la costruzione si mettono allora meno chiodi sulle file esterne (che non vogliamo indebolire troppo) e più all’interno in modo da ottenere un giunto ad uniforme resistenza. E’ comunque inutile fare tante file di chiodi in quanto, quando ha inizio la deformazione delle lamiere, questa va ad interessare le file più esterne (quelle interne risultano scaricate grazie alla resistenza delle prime file). In generale è opportuno evitare che, in caso di cedimenti, si rompa la lamiera prima del chiodo o viceversa (si vuole cioè che chiodi e lamiere lavorino nelle stesse condizioni, senza che uno dei due elementi ceda in maniera preferenziale).
La chiodatura nelle navi e sommergibili – Terminato il conflitto 1915/18, gran parte della flotta subacquea
italiana venne disarmata e solo nel 1925 fu intrapresa la costruzione di nuovi sommergibili. La costruzione dei sommergibili fu distribuita tra i cantieri
del Muggiano di La Spezia (OTO, Otero Terni Orlando), di Taranto (Tosi) e di Monfalcone
(Cantiere Navale Triestino prima e CRDA, Cantieri Riuniti dell’Adriatico, poi), inoltre qualcosa
fu assegnato pure ai cantieri del Quarnaro di Fiume. Il problema della chiodatura e dei ritardi nell’adozione della saldatura, è un problema che ha afflitto sia le navi di superficie che i sommergibili, questi ultimi in maggior misura per ulteriori fenomeni collegati. Se è pur vero che dal tardo 1938, con molto ritardo rispetto alle stesse proprie capacità, il Cantiere di Monfalcone cominciò ad adottare la saldatura ad arco anche nella costruzione dei sommergibili, a cominciare dalla classe Marconi, è altrettanto noto e riconosciuto che non si raggiunse mai la completa costruzione saldata, neppure nelle ultime, a cui apparteneva il Smg. Tritone. A parte il peso, la costruzione chiodata comportava per i sommergibili uno schema estremamente complicato perché alle lamiere già aggiustate testa a testa, venivano applicate contropezze su ambedue i lati, collegate con un numero di chiodi maggiore rispetto alle normali condizioni, posizionati a scacchiera; Questo sistema comportava un aggravio di peso che poteva avvicinarsi al 30% dell’ esponente relativo allo scafo (per i sommergibili costieri tipo 600, su circa 280T di peso scafo, stiamo parlando di una quota oscillante tra 70 e 74 T, decisamente superiore allo stesso esponente di peso dell’ armamento; fattore più preoccupante, questo sistema di unione creava zone dello scafo di maggiore rigidità, oltre che robustezza, le quali sotto l’ effetto della pressione esterna si deformavano in maniera diversa (meno) del resto del fasciame; questo fenomeno comportava che con l’ aumento della pressione idrostatica, ossia della quota di immersione, le forme si deformassero diversamente, allontanandosi da quella cilindrica di riferimento teorico; gli effetti di questo fenomeno potevano risultare devastanti, per esempio in caso di esplosione vicina.
L’unione a mezzo di saldatura elettrica, oltre a contenere entro limiti più accettabili l’esponente di peso dello scafo, a favore di altre caratteristiche e necessità, oltre a permettere costruzioni più rapide ed agevoli, se adottato integralmente od in grande scala avrebbe presentato il vantaggio dell’ uniforme mantenimento delle forme (e meno sollecitazioni concentrate). A partire da battelli della classe Caracciolo venne eliminata la chiodatura, ma non i coprigiunti. L’influenza dei rinforzi portò comunque a continuare a destinare forse inutilmente importanti pesi, difficilmente valutabili, ma comunque intorno al 15% del peso scafo.