Le portaerei della Regia Marina – Nel 1921-22, l’Italia, assieme all’Inghilterra, alla Francia, al Giappone, agli Stati Uniti d’America e alcune nazioni minori prende parte ai lavori della Conferenza di Washington dove gli Stati partecipanti concordano le tonnellate di naviglio da guerra da poter costruire per la propria flotta. A ognuna delle grandi potenze presenti, anche se in varia misura, viene riconosciuta la possibilità di dotarsi di navi portaerei e all’Italia, al pari della Francia, sono assegnate 60.000 tonnellate di naviglio di tale tipo. Benché ci sia la possibilità di costruire una o più portaerei italiane, l’Italia sarà l’unico degli Stati sopra citati a presentarsi all’appuntamento della seconda guerra mondiale con una flotta priva di portaerei.
Quando all’alba del 12 novembre 1940, le ultime fiamme venivano domate a fatica nel porto di Taranto – dove gli aerosiluranti inglesi lanciati dalla portaerei HMS Illustrious avevano sorpreso alla fonda il grosso della flotta italiana -, agli alti papaveri della Regia Marina apparve evidente la letale efficacia dell’aviazione imbarcata. Inoltre, durante la battaglia di Punta Stilo si poté constatare cosa significasse dover richiedere l’appoggio aereo di reparti basati a terra senza che fosse stato definito uno straccio di procedura di comando e controllo comune. Se questo non fosse stato sufficiente, lo scontro di Gaudo e di Capo Matapan si incaricò di sgombrare definitivamente il campo da qualunque possibile dubbio sull’utilità di una portaerei in mare assieme alla squadra da battaglia.
La distruzione di tre incrociatori pesanti e della loro scorta da parte della Mediterranean Fleet fu possibile grazie alla presenza del radar sulle unità inglesi (e anche su questo aspetto tanto ci sarebbe da dire) e grazie alla puntuale e capillare ricognizione inglese che mantenne sempre l’ammiraglio Cunningham informato sulla posizione e situazione della flotta italiana. La presenza della portaerei Formidable, inoltre, consentì di lanciare quell’attacco di aerosiluranti (la sera del 28 marzo) che immobilizzò il Pola e che tante nefaste conseguenze avrebbe provocato.
Le portaerei della Regia Marina – Portaerei Aquila. Per questo la decisione fu una sola e incontrovertibile: dotare al più presto la Regia Marina di una portaerei che potesse arrivare ovunque nel Mar Mediterraneo. Per dar battaglia alla Royal Navy e cercare di bilanciare, sebbene con grave ritardo, le forze in campo. La trasformazione del transatlantico “Roma” in portaerei Aquila venne ordinata nel luglio del 1941.
Il progetto originario di modifica, sviluppato dal generale del Genio navale Gustavo Bozzoni, prevedeva un’unità con non ebbe seguito in quanto presentava un grosso limite operativo che consisteva nel fatto che gli aerei, una volta lanciati, non sarebbero stati recuperati, vista la difficoltà della manovra di atterraggio ed il lungo addestramento necessario ai piloti per effettuarla. La realizzazione finale ha visto la protezione passiva realizzata mediante 18 paratie stagne, di cui 11 doppie, da controcarene esterne e da doppifondi riempiti di calcestruzzo armato sino alla linea di galleggiamento. L’applicazione di controcarene avrebbe permesso alla nave sia di raggiungere velocità elevate sia di migliorare la protezione subacquea nei confronti dei siluri. Le contromisure passive videro anche una corazzatura ai depositi di carburante e di munizioni, mentre il riempimento delle controcarene con uno spessore di cemento armato, previsto anche nel progetto Bozzoni e che aveva dato ottime prestazioni alle prove di scoppio in vasca, richiedeva poco acciaio per la sua realizzazione rispetto ad una corazzatura classica. Lo scafo, controcarene comprese, venne allungato di circa 5 metri.
L’apparato motore fu realizzato utilizzando due apparati originariamente destinati a incrociatori leggeri della classe Capitani Romani, diventati disponibili dopo la cancellazione della costruzione di quattro delle dodici previste, con otto caldaie e quattro turbine. La potenza di ciascuno dei gruppi caldaie/turbina venne limitata da 50.000 a 37.500 CV, per un totale di circa 150.000 CV, consentendo alla nave di raggiungere una velocità massima di circa 30 nodi. Il ponte di volo, continuo da prora a poppa e sostenuto da apposite strutture, aveva una voluminosa isola a più piani sul lato di dritta, a circa metà nave, con la plancia di comando e numerose piazzole per le armi antiaeree. Ai lati dello scafo erano presenti simili piazzole per l’armamento antisilurante.
L’Aquila era equipaggiata con due catapulte Demag ad aria compressa di produzione tedesca con due elevatori. L’hangar era divisibile in quattro sezioni da paratie tagliafuoco. Avrebbe potuto imbarcare 51 aerei da caccia tipo Reggiane Re.2001 di cui 10 sul ponte di volo, 26 nell’hangar e i rimanenti sospesi al cielo dell’hangar stesso con un espediente ingegnoso inventato per poter aumentare la capacità di carico della nave. Era stata prevista anche la costruzione di una versione del Re.2001 ad ali ripiegabili che avrebbe potuto portare a 66 caccia la capacità di imbarco.
L’armamento, destinato principalmente alla difesa contraerea, era costituito da cannoni singoli (8 cannoni da 135/45 mm e dodici da 65/44 mm) installati a prua, poppa e su mensole ai lati dei ponti di volo e da 22 impianti sestupli di mitragliere da 20/65mm installati ai lati del ponte di volo e davanti e dietro l’isola. Pur essendo stata danneggiata nel novembre 1942, mentre era ancora in allestimento a Genova, alla data dell’armistizio dell’8 settembre 1943, la nave era già completata al 90%, praticamente pronta per i collaudi e le prove in mare ed aveva già effettuato le prime prove statiche dell’apparato motore, ma non fece in tempo ad entrare in servizio attivo.
Il 9 settembre la nave, che era stata sabotata prima di essere abbandonata dall’equipaggio, cadde nelle mani dei tedeschi che se ne impadronirono affidandola alle autorità della Repubblica Sociale Italiana, le quali ne tentarono il completamento per immetterla in servizio nella Marina Nazionale Repubblicana, ma senza successo, a causa dei continui bombardamenti alleati, come quello nel porto di Genova del 16 giugno 1944 in cui la nave subì gravi danni.
I tedeschi cominciarono un parziale smantellamento per riciclarne il ferro ed infine il 19 aprile 1945 la nave venne attaccata da mezzi d’assalto subacquei “Chariot” di Mariassalto facenti parte delle forze cobelligeranti italiane del Regno del Sud, per impedire che i tedeschi ne utilizzassero il grosso scafo per affondarla e bloccare l’imboccatura del porto di Genova. Alla fine della guerra, il 24 aprile 1945, venne ritrovata ancora a galla, semisommersa e posta a metà del porto in un estremo tentativo di bloccare il passaggio fra il bacino della Lanterna e gli scali occidentali.
Rimorchiata dagli inglesi alla Calata Bettolo, vi rimase qualche anno finché fu rimorchiata nel 1949 a La Spezia, in attesa di una decisione su di un suo eventuale riutilizzo per usi civili, ma riscontrata la difficoltà e l’alto costo necessario per riportare la nave allo stato originale di piroscafo, ne venne decisa la demolizione, avvenuta nel 1952.
Le portaerei della Regia Marina – Portaerei Sparviero. La trasformazione della motonave Augustus in portaerei venne ordinata nel 1941 per stesse motivazioni elencate per l’Aquila.. Il progetto riprendeva quello sviluppato dal colonnello del Genio navale Luigi Gagnotto ed i lavori di trasformazione iniziarono nel settembre del 1942 nei Cantieri Ansaldo di Genova. Dalla trasformazione della nave, ribattezzata prima “Falco” e poi “Sparviero”, si sarebbe dovuta ricavare una portaerei di scorta, dotata di un solo hangar con 2 ascensori e chiuso al di sopra con un ponte di volo senza isola che terminava 45 metri prima della prora, salvo una stretta pista di decollo che giungeva alla estrema prora. L’armamento principale sarebbe stato disposto ai lati del castello di prora, al livello del ponte hangar, e a poppa e non era prevista alcuna struttura ad isola, perché i gas di scarico dei motori diesel sarebbero stati espulsi lateralmente sotto il livello del ponte di volo. Dal punto di vista estetico il progetto ricorda molto le portaerei giapponesi per la mancanza dell’isola e il ponte attaccato allo scafo da piloni, ma presentava l’originalità della catapulta di lancio sulla poppa che si prolungava oltre il ponte di volo. La presenza di un ponte di volo di soli 180 metri, interrotto dalla catapulta di lancio fu una scelta tecnica unica a livello di navi portaerei. Per il lancio degli aerei erano previste almeno due catapulte. La dotazione aerea prevista era di 34 caccia oppure 16 caccia e 9 bombardieri/siluranti.
L’apparato motore sarebbe rimasto quello originale, in grado di spingere l’unità ad una velocità di circa 20 nodi. Nel corso dei lavori di trasformazione vennero asportate le sovrastrutture, il cassero, i ponti e le cabine superiori. Le fiancate vennero dotate di corazza in lamiera d’acciaio e venne realizzato un ponte di volo in acciaio ad alto spessore per il decollo e l’atterraggio degli aerei. L’armamento previsto era di dodici cannoni antinave e antiaerei da 135/45 mm in quattro impianti tripli, altrettanti cannoni antiaerei da 65/64 in impianti singoli 132 mitragliere da 20 mm in 22 impianti sestupli, con tutte le armi di bordo posizionate in mensole laterali. A causa delle sempre maggiori difficoltà belliche non fu possibile terminare i lavori. All’armistizio i lavori erano ancora appena all’inizio, erano state appena eliminate le sovrastrutture anche se esiste una foto della nave in manovra di spostamento davanti alla spiaggia di Sampierdarena in cui il ponte di volo sembra essere stato completato. La nave in seguito alle vicende armistiziali venne catturata dai tedeschi, che il 5 ottobre 1944 in ritirata, per impedire l’utilizzo del porto di Genova da parte degli alleati, rimorchiarono lo scafo all’imboccatura del porto di Genova, affondandolo. Nel 1947, finita la guerra, il relitto venne recuperato e venduto per la demolizione, che avvenne nel 1951.
Le portaerei della Regia Marina – Portaerei Bolzano. Nel 1938, in occasione della crisi dei Sudeti (cioè la minoranza di lingua tedesca che all’epoca abitava la Cecoslovacchia), si tornò a valutare la possibilità di costruire una portaerei, e venne valutata la possibilità di trasformare l’incrociatore pesante Bolzano in incrociatore lancia aerei, basato sul progetto dell’incrociatore portaerei del generale del genio navale Giuseppe Rota del 1925, mediante la demolizione delle sovrastrutture ad esclusione delle due torri da 203/53 Mod. 1927 all’estrema prora e all’estrema poppa, con l’installazione di quattro catapulte, di cui una incassata nel ponte e tre brandeggiabili; sulla dritta della nave sarebbe stata realizzata una piccola isola con uno o due fumaioli. La nave in tale configurazione sarebbe stata in grado di movimentare una dozzina di aerei da caccia. L’incrociatore pesante Bolzano fu silurato e gravemente danneggiato il 13 agosto 1942 nello scontro detto “Battaglia di Mezzo Agosto”. Nei cantieri a La Spezia si incominciò a ripararlo e a trasformarlo in nave portaerei. Lo scafo quasi smantellato fu affondato il 22 giugno 1944 da un attacco dei britannici. Non era previsto però l’appontaggio degli aerei, che avrebbero dovuto raggiungere una base a terra. La situazione economico militare purtroppo era pessima e anche questo progetto dovette essere abbandonato.
Trattato di Parigi. Lo Stato Italiano e le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale, il 10 febbraio 1947, a Parigi, firmarono il trattato di pace, conosciuto come il “Trattato di Parigi”. Le restrizioni riguardanti la Marina Militare (articolo 59) vietavano la costruzione, l’acquisto e la sostituzione di navi da battaglia oltre all’utilizzazione e alla sperimentazione di unità portaerei, naviglio subacqueo, motosiluranti e mezzi d’assalto di qualsiasi tipo. Il dislocamento totale del naviglio militare in servizio e in costruzione, eccettuate le navi da battaglia, non doveva superare le 67.500 tonnellate, mentre il personale effettivo non poteva eccedere le 25.000 unità. Tuttavia per via delle crescenti tensioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica, che da lì a poco avrebbero portato all’inizio della Guerra fredda, e quindi di un conseguente conflitto tra Blocco occidentale e Blocco orientale il governo italiano, incapace di difendersi autonomamente, chiese la cancellazione di tali clausole. Nel 1951, con il consenso della maggior parte degli stati firmatari del trattato, le clausole militari vennero rimosse, permettendo il riarmo italiano in ottica NATO. Dovranno passare altri 34 anni (30 Settembre 1985) prima che un aereo da combattimento dell’Aviazione di Marina decolli dal ponte di volo di una portaerei italiana: l’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi.