Speranze e problemi dell’idrogeno.Si parla tanto dell’impiego dell’idrogeno rappresentandolo come la panacea a tutti i problemi di inquinamento/cambiamento climatico/transizione energetica, ma è proprio così? Sembra infatti che tutti i grandi produttori di vetture stiano facendo un passo indietro rispetto a questa tecnologia. Di recente il presidente di Toyota Motor Europe, Matt Harrison in un’intervista ha fatto sapere che i motori del brand in cui si brucia l’idrogeno sono solo un esperimento per il motorsport. Ma anche le auto cosiddette “fuel cell”, tra cui la celebre Toyota Mirai, avrebbero un futuro incerto. “In termini di veicoli passeggeri – ha spiegato il manager – non vedo le celle a combustibile come un’opportunità significativa. Stiamo parlando di qualche migliaio all’anno (entro il 2030)”.
Di parere simile sembrano essere anche i dirigenti di Honda che hanno abbandonato qualche mese fa il progetto della Clarity Fuel Cell. Prima ancora i tedeschi di Mercedes-Benz avevano chiuso già nel 2020 il programma idrogeno. Lo stesso accade per Jaguar Land Rover e l’americana General Motors.
Più fiducioso è il progetto di Enel Green Power che, al fianco della nuova centrale a turbogas a La Spezia, utilizzerà le sue aree per un impianto di produzione di idrogeno tramite un elettrolizzatore, che dovrebbe essere operativo nel 2024. “Inizialmente sarà connesso alla rete elettrica nazionale – dichiara Lorenzo Ducci, responsabile attività commerciale idrogeno –, ma entro il 2027 sarà alimentato da un impianto fotovoltaico installato proprio in area Enel. Produrrà fino a 200 tonnellate all’anno di idrogeno. Ma da contatti con il cantiere del Muggiano (Fincantieri), si è appreso che non ci potrà essere un progetto nel breve periodo perché, semplicemente, non è pronta la tecnologia per utilizzarlo.
Speranze e problemi dell’idrogeno – L’aspetto del trasferimento dell’idrogeno è tecnicamente complesso. “Snam sta lavorando per rendere le proprie infrastrutture odierne utilizzabili in prospettiva anche per l’idrogeno. L’ecosistema porto si presta particolarmente alle applicazioni dell’idrogeno”, assicura Dina Lanzi, head of technical business unit hydrogen di Snam, che lavora a sua volta con Fincantieri e MSC per studiare come costruire le future navi ad idrogeno e come garantire lo stoccaggio del combustibile verde.
Un altro settore che vorrebbe beneficiare dalla produzione di idrogeno è quello della nautica, soprattutto quello dei megayacht. Vi è però uno scoglio tecnico non secondario: l’autonomia dell’unità in rapporto al volume occupato dal combustibile. Se il gasolio garantisce una traversata oceanica con un serbatoio di dimensione 1, per il metanolo ne serve uno due volte e mezza più grande, per l’idrogeno liquido 4,6 volte e per le batterie circa 50 volte di più. La scelta di Sanlorenzo Yachts è dunque di installare sulle proprie navi fuel cell alimentate a metanolo per produrre l’idrogeno all’interno delle unità.
Proprietà dell’idrogeno. La formula chimica è H2. È un gas incolore, inodore e insapore. Non è tossico ma non sostiene la vita e agisce come un asfissiante. È l’elemento (e gas) più leggero conosciuto. L’idrogeno è altamente infiammabile e la maggior parte delle miscele di idrogeno e aria brucerà o addirittura esploderà in particolari condizioni. Si accende più facilmente di qualsiasi altro gas comune e una perdita ad alta pressione può anche accendersi spontaneamente. Brucia con una fiamma calda e quasi invisibile. Gli incendi da idrogeno sono difficili da spegnere. Se si spegne una fiamma a idrogeno e non si interrompe il flusso di idrogeno, il gas che fuoriesce può essere riacceso, a volte in modo esplosivo. L’idrogeno è estremamente infiammabile nell’aria (limiti di infiammabilità dal 4% al 75% in volume). L’energia necessaria per accenderlo è estremamente piccola, ad esempio per elettricità statica o attrito del flusso.
Costo del rifornimento. Per quanto riguarda il costo, un kg di idrogeno viene attualmente venduto in Italia a circa 13-14 euro/kg;
Bassa densità volumetrica di energia a condizioni ambiente. È vero che l’idrogeno ha una densità di energia in rapporto al peso (o “gravimetrica”) molto elevata, ma la sua densità di energia in rapporto al volume (o “volumetrica”) è invece bassissima, dato che a condizioni ambiente l’idrogeno libero è un aeriforme poco denso (a 1 atm e 25 °C, appena 89 grammi per metro cubo) e non un liquido condensato come la benzina o il gasolio. Un litro di idrogeno a 25 °C e 1 atmosfera, se bruciato completamente, libera una quantità di calore che è solo lo 0,03% di quella liberata bruciando un litro di benzina. Se facciamo il confronto solo fra aeriformi, vediamo che a parità di volume, pressione e temperatura l’idrogeno è battuto perfino dal comunissimo metano, il quale, se bruciato, libera una energia quasi quadrupla di quella liberata da un pari volume di idrogeno nelle stesse condizioni di pressione e temperatura.
Energia richiesta per produrre idrogeno e rendimento del processo. L’idrogeno è altamente reattivo e alle condizioni di pressione e temperatura della superficie terrestre si lega con grande facilità a numerosi altri elementi formando composti chimici fra i quali il più importante è naturalmente l’acqua (in cui è legato con l’ossigeno), ma ci sono anche gli idrocarburi (in cui è legato con carbonio e ossigeno), l’ammoniaca (con azoto), gli acidi e così via. Di conseguenza, anche se è l’elemento più diffuso nell’universo, nell’atmosfera terrestre non è praticamente presente in forma libera.
Aspetti di carbon neutrality. La produzione di idrogeno può comportare l’emissione di CO2 per due motivi molto diversi: il primoè la possibile non-carbon-neutrality del mix di fonti energetiche scelto dal Paese la cui energia elettrica viene usata per il processo di produzione (fa un’enorme differenza, dal punto di vista delle emissioni climalteranti, usare energia elettrica in Francia, in cui essa è prodotta con un mix di fonti primarie 72% nucleare+21% rinnovabili+7% altro, o in USA, in cui è prodotta al 78% da fossili, di cui quasi metà “sporchissimo” carbone; o peggio ancora in Cina con addirittura il 65% di carbone); il secondo, che si verifica nel caso l’idrogeno si produca non mediante elettrolisi dell’acqua, ma mediante processi fisico-chimici a partire da idrocarburi (il 97% della produzione mondiale attuale di idrogeno avviene così perché è il modo più efficiente ed economico), come ad esempio il metano, è il rilascio di CO2 generata dall’ossidazione dell’atomo di carbonio della molecola di metano a cui si sono strappati i quattro idrogeni.
Trasporto dai luoghi di produzione ai luoghi di utilizzo. Realizzare ex novo una rete di idrogenodotti estesa e capillare quanto quella degli attuali metanodotti e affiancata ad essa, a parte i costi esorbitanti e i tempi lunghi, sarebbe quasi certamente impraticabile, considerando ad esempio le cronache sulle polemiche per l’approdo del gasdotto TAP a Melendugno. Un problema importante è anche il suo stoccaggio. Nel settore della mobilità, oggi ci sono diverse versioni di stoccaggio praticabili. Due di esse sono particolarmente diffuse:
- Stoccaggio del gas a pressione
- Stoccaggio del gas liquido
Nello stoccaggio del gas a pressione, l’idrogeno viene conservato in serbatoi a pressione. In primo piano ci sono soprattutto le esigenze di spazio dei serbatoi. L’idrogeno deve essere fortemente compresso per raggiungere un chilometraggio paragonabile a quello del gasolio pesante o del diesel. Quanto maggiore è la compressione, tanto meno spazio occorre a bordo della nave. Ciò ha comunque dei limiti. Da un lato, ciò dipende dalla capacità di compressione della struttura del serbatoio e, dall’altro, dall’energia necessaria per la compressione.
Produzione dell’idrogeno presso i distributori stessi. Invece di trasportare l’idrogeno potremmo produrlo vicino ai luoghi di utilizzo; Se si usa energia elettrica per azionare un impianto elettrolizzatore installato presso un ipotetico distributore d’idrogeno del futuro, valgono (oppure non valgono) le stesse obiezioni che generalmente vengono rivolte all’ecosistema delle auto elettriche a batteria, relativamente alla produzione della corrente per le colonnine di ricarica. Con l’aggravante che l’elettrolisi ha un rendimento basso, intorno al 70% con tecnologia attuale, e produrre per via elettrolitica la quantità di idrogeno che occorre a un distributore per soddisfare una domanda equivalente a quella degli attuali veicoli a benzina/gasolio che visitano in una giornata media una stazione di servizio richiederebbe di avere a disposizione una potenza elettrica enorme: produrre per via elettrolitica (assumendo rendimento 70%) la quantità di idrogeno energeticamente equivalente a 1 litro di benzina richiede circa 13.5 kWh.
Generazione di ossidi di azoto. Se l’idrogeno, comunque lo si sia ottenuto, viene usato come carburante gassoso per un classico motore a combustione interna, bisogna valutare quali emissioni inquinanti produce la sua combustione.
Spesso si sente ripetere che l’idrogeno è pulitissimo perché la sua combustione produce (localmente) solamente vapore d’acqua. Questo sarebbe vero se l’idrogeno venisse bruciato con ossigeno puro. Siccome però in un normale motore automobilistico l’idrogeno viene bruciato con aria, in cui solo il 20% circa è ossigeno mentre quasi l’80% è azoto, e in un motore a combustione interna il processo avviene ad alta temperatura, in quelle condizioni anche l’azoto presente in camera di combustione reagisce con l’ossigeno formando indesiderabili ossidi d’azoto.
Bassa densità di potenza delle celle a combustibile. Quando parliamo di un’auto Fcev alimentata a idrogeno, oltre al peso e all’ingombro delle bombole dobbiamo considerare il peso e l’ingombro della fuel cell, necessaria per convertire l’energia chimica dell’idrogeno in energia elettrica sfruttabile finalmente dai motori elettrici. E, come sulle ibride termiche attuali, è sempre presente anche una batteria, sia per poter implementare la frenata rigenerativa sia per dare una mano alla Fuel cell quando è momentaneamente richiesta una elevata potenza per una accelerazione o un sorpasso.
Speranze e problemi dell’idrogeno – I sommergibili classe U212 della Marina Militare Italiana utilizzano il sistema a Fuel cell. Le celle a combustibile sono sistemi elettrochimici capaci di convertire l’energia chimica di un combustibile, per l’appunto l’idrogeno direttamente in energia elettrica. Durante il processo, non si ha l’intervento intermedio di un ciclo termico: questo permette di avere rendimenti di conversione più elevati rispetto a quelli delle macchine termiche tradizionali. Tutte le celle a combustibile hanno lo stesso principio di funzionamento: un sistema di conversione di energia che avviene attraverso una reazione in cui si consumano idrogeno ed ossigeno, con produzione di acqua e passaggio di corrente elettrica nel circuito esterno. Esistono diverse tipologie di Fuel Cell, che si differenziano per il tipo di elettrolita impiegato e per la temperatura operativa. I limiti delle fuel cell sono attualmente la Potenza (relativamente bassa) e l’autonomia generale (vincolata strettamente alle scorte di ossigeno ed idrogeno da trasportare). Ma bisogna ricordare che pur essendo un sistema non nuovissimo, solo di recente si è riusciti ad integrarlo a bordo di un sommergibile (risolvendo grandi problemi di sicurezza ed affidabilità). E’ un sistema in costante sviluppo che presto potrebbe superare le attuali limitazioni (in pochi anni ad esempio si è passati dalla versione a 36 Kw a quella a 120 Kw … a parità di peso ed ingombro). Inoltre sussistono i costi e i tempi morti degli apparati a terra per la ricarica, operazione lunga e delicatissima ed effettuabile solo in pochi punti.
Un sistema di propulsione di navi a idrogeno è in sostanza sempre una trasmissione con un motore elettrico. L’energia necessaria per questo tipo di propulsione viene ad es. generata in celle di carburante. Le celle di carburante sono convertitori di energia in cui un combustibile, come ad es. l’idrogeno, reagisce con un agente ossidante, come l’ossigeno. Vengono a crearsi acqua, energia elettrica e calore. La reazione all’interno della cosiddetta cella di carburante per la propulsione navale avviene automaticamente e non deve essere provocata artificialmente, ma viene catalizzata. Ciò che occorre è semplicemente l’alimentazione continua di ossigeno, prelevato dall’ambiente, e di idrogeno. Questo deve essere accumulato e trasportato a bordo della nave in serbatoi sottoposti a pressione e freddo. Come alternativa alla cella di carburante sono disponibili anche i motori a idrogeno. Qui la produzione dell’energia elettrica avviene in modo analogo a quello dei generatori convenzionali che utilizzano vettori energetici fossili. Qui l’idrogeno può essere usato come gas o legato a un liquido portante (ad es. tecnologia LOHC).
Speranze e problemi dell’idrogeno – Abbiamo visto che produrre idrogeno è fattibile, utilizzarlo su larga scala è tutto un altro problema. La filiera dell’idrogeno è tutta da costruire, contando che buona parte ad oggi è prodotto usando combustibili fossili e disperdendo la CO2 di risulta in atmosfera. Non è pronta la tecnologia per utilizzarlo. Michele Francioni, vicepresidente di MSC, definisce la decarbonizzazione “un processo fondamentale per noi, visto le caratteristiche energivore delle navi da crociera, che arrivano a consumare oltre 10 Mw anche quando sono ferme in porto”. Ma l’idrogeno, per l’industria delle crociere, non è la sola opzione per il futuro. “Oggi viviamo un vero e proprio dilemma. L’idrogeno presenta sfide importanti per quanto riguarda il trasporto, che deve avvenire a circa -250° di temperatura, ed il bunkeraggio, visto che oggi è complesso anche solo farlo con il GNL. Scartata l’ipotesi di comprimerlo, rimane il fatto che un metro cubo di gasolio può essere sostituito, come potere calorifico, da un equivalente di 15 metri cubi di idrogeno liquido. Tra cinque anni forse avremo un’idea più chiara su dove andrà il mondo delle crociere”.
Conclusioni – Si punta sempre più sull’idrogeno verde per la transizione energetica. A tale proposito il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato un decreto che apre all’investimento di 450 milioni per lo sviluppo delle tecnologie dell’idrogeno. Obiettivo: realizzare entro giugno 2026 una filiera italiana che raggiunga una potenza complessiva annua di almeno 1 GW. Con la firma del Decreto viene attuato l’Investimento 5.2 (M2C2) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che mette a disposizione 450 milioni di euro destinanti al finanziamento di progetti per lo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde. Questa spesa viene giustificata adducendo che l’introduzione delle tecnologie dell’idrogeno nella rete dei servizi del Paese rappresenta un passo fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi climatici prefissati.
Molti autorevoli scienziati sostengono che l’inquinamento non ha o ha in minima parte, la responsabilità del riscaldamento globale, dimostrando che questo avviene a cicli climatici;
La normativa europea sul clima, che è al centro del Green Deal europeo, intende tradurre gli impegni politici dell’UE in materia di clima in un obbligo giuridico e questocomporterebbe la chiusura delle fabbriche non convertite. Le nostre industrie per continuare ad produrre oltre il 2030, non potranno rinunciare all’energia ricavata da petrolio e carbone; La conclusione, “forse”, è che i problemi che presenta l’utilizzo dell’idrogeno sono superiori ai benefici ricavabili. Se parlare dell’idrogeno produce la fruizione dei 450 milioni previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, invece, ha la sua giustificazione.